giovedì 25 marzo 2010

A spasso nel tempo.Tra miti e vecchie leggende.

di Piera Micelli


Una brutta vecchina, un costume nero, un fuso e il gioco è fatto. La "quaremma" racconta la fine del carnevale delle strade salentine, che nel periodo quaresimale si vestono a lutto. La tradizione affonda le sue radici nella cultura popolare. Cultura fatta di leggende e vecchi detti. Il fantoccio di paglia indossa simbolicamente le spoglie della moglie di Carnevale (carniale), che tra una festa e l'altra piange amaramente per i debiti del consorte. Una gentile signora ha voluto rivivere con me la Pasqua di cinquant anni fà, raccontando tra mille ricordi quella "bambola" di pezza che attirava un po' tutti. Se carnevale scorrazzava libero tra feste, banchetti, donne e divertimenti la povera quaremma pagava per la stoltezza del marito. Così la signora Roma mi vuole introdurre la figura di questa donna sfortunata. Festeggiata da tutti, conosciuta da pochi. Oggi si contano sulle dita di una mano coloro i quali sanno a pieno la sua storia, la sua leggenda. Di certo non immaginano che il vecchio fuso che stringe tra le mani era un modo per ingannare il tempo in attesa del marito. Che la piccola bambola appesa al suo fianco era la bambina che non aveva mai visto il padre. O non sanno che valore attribuire all' arancia infilzata da sette penne simbolo di astinenza e sacrificio. La simpatica immagine resta apppesa per un mese prima di essere rimossa e cancellata con un rogo. Un rogo che serve a purificare nelle fiamme i numerosi peccati per dare il via a una nuova vita.



Straordinario come i ricordi di quegli anni siano così vivi e presenti in questa simpatica signora che non si può far altro che farglielo notare. Roma si offende e considera l'osservazione superficiale. « La pasqua dei miei tempi non era una festa come tante. Era qualcosa che andava al di là del solito augurio o regalo. La mia pasqua era vissuta come una festa di famiglia. Come un momento di ritrovo, sopratutto per coloro che avevano smarrito la via di casa. Tradizioni come la quaremma non possono far altro che farmi sorridere, anche con nostalgia. Perchè nell immagine, seppur ridicola, di un inutile fantoccio io rivedo le mie radici, che oggi, in questo nuovo paese spesso non ritrovo ». Parole dure forse, ma velate da un profondo senso di verità. Echi di vite passate che a volte cercano di raccontare qualcosa a chi è troppo indaffarato per fermarsi ad ascoltare. Così rovistando tra le antiche usanze del paese ci si ritrova a dover riconoscere l'egoismo delle nuove generazioni.



E intanto Roma continua il suo percorso a ritroso nel tempo, raccontado delle serate passate a mascherarsi per piangere insieme a quella povera "donna di pezza". «Un gioco, una tradizione, un modo per passare il tempo; chiamalo come vuoi» dice, «ma per noi era un divertimento assurdo prepararsi tutte insieme e scendere in strada vestite a mo' di befane». Anche questa dichiarazione potrebbe aprire un’ampia finestra di riflessione. Sugli attuali modi per divertirsi, che sono alquanto differenti. Sulle serate "alla moda" che non prevedono di certo vestiti carnevaleschi e fazzoletti di stoffa.



Grazie a Roma per la sua disponibilità. Per essere tornata ragazza e per essersi vestita ancora una volta da quaremma. Per aver camminato nelle strade della memoria e aver riportato alla luce una vecchia leggenda ormai in procinto di essere dimenticata. E mi sembra doveroso chiudere con una frase che colpisce non poco : «ca la quaremma simu io, tu e tutti quiddi ca no la canoscunu».
(perchè la quaremma siamo io, te e tutti quelli che non la conoscono)

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