giovedì 28 maggio 2009

Eluana: morte legale o delitto?

di Marika Capuano ed Emanuela Conte

Diciassette anni fa Eluana Englaro viene ricoverata in coma vegetativo a causa di un trauma cranico riportato da un incidente. Assolutamente irriconoscibile, completamente immobile, spostata ogni due ore per evitare che il corpo si pieghi. Nel 1992 viene portata nell'ospedale di Lecco “con la speranza di un sempre più improbabile risveglio”.





La regione superiore del cervello (corteccia), compromessa dal trauma, è destinata ad andare incontro ad una degenerazione definitiva. Gli occhi si aprono e si chiudono ma sono incapaci di vedere. Di lei rimane un corpo privo di emozioni, esperienze, “abbandonato” totalmente al personale ospedaliero che lo assiste. Un corpo non padrone della sua anima. Nessuno si chiede quale sia la volontà di Eluana. Perché il padre avrebbe dovuto far del male alla figlia? Altri cosa avrebbero fatto “al suo posto”?



Secondo l’art.32 della Costituzione «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Secondo il padre e alcuni amici, Eluana avrebbe preferito morire anziché vivere in una tale condizione. Come si manifesta la solidarietà? Tutti parlano, tutti si scontrano (atei, credenti, medici, personale ospedaliero). In realtà nessuno si può permettere di giudicare a sproposito, soprattutto sostituendosi a Dio. Ma è solidale chi accusa il padre di Eluana scrivendo sui muri «Beppino boia»? La situazione è triste.




Il 6 febbraio il Governo ha approvato il decreto in materia di alimentazione e idratazione. Poche righe per impedire che chiunque rifiuti (in caso di malato cosciente) o sospenda (da parte di terzi in caso di coma) somministrazione di acqua e cibo.Ma il decreto non è stato firmato dal Presidente della Repubblica, contrario a tali disposizioni.
Occorre intervenire affinché questioni complesse, come quelle che attengono al diritto alla vita, siano affrontate contemperando le diverse esigenze. Per molti l'idratazione artificiale costituisce una forma di accanimento terapeutico. Non è chiaro, inoltre, sulla base di quali principi la Corte possa ritenere sufficiente una ricostruzione della volontà del malato fondata sull'analisi indiretta e testimoniale della sua personalità, dello stile di vita e dei suoi convincimenti risalenti a un'epoca anteriore alla malattia stessa. Non si è mai giunti a una decisione concreta. I politici non trovano un accordo. Oggi, la vicenda è stata quasi dimenticata. Non se ne sa più nulla. È necessaria una legge sul trattamento di fine vita che tuteli la dignità della persona a prescindere dallo stato di coscienza.



Fortunatamente qualcosa di certo c'è: la Corte d’appello civile di Milano ha deciso “di staccare definitivamente la spina”. I giudici dicono:«Vista la straordinaria durata dello stato vegetativo permanente e l’altrettanta straordinaria tensione del suo carattere verso la libertà e la sua visione della vita, è stata una decisione inevitabile». Comunque sia si tratta della prima applicazione in Italia del “testamento biologico” non basato su un documento scritto.
Davanti a questa lunga tragica vicenda sono necessari silenzio e rispetto umano. Mettiamo da parte i “pettegolezzi”. È stata una vera e propria “cultura di morte”.

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