venerdì 27 novembre 2009

Il suicidio in Seneca



Perché riflettere oggi, nella frenetica società del benessere, sul suicidio? La centralità del tema nella cultura occidentale è innegabile, a partire dai classici.
Seneca, fra gli altri, incentra la sua filosofia sulla meditatio mortis, illustrando la preparazione alla morte secondo il modello socratico: morire bene e con piena consapevolezza è condizione indispensabile al raggiungimento della 'sapientia'. Tutta l'epistola 70 a Lucilio è dedicata all'argomento, senza risparmiare critiche serrate a quegli autori precedenti che avevano condannato il suicidio. E in età contemporanea?
Il celebre filosofo Albert Camus (Mythe de Sisyphe,1943) dichiara:

"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio.
Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è
rispondere al quesito fondamentale della filosofia.
Tutto il resto viene
dopo!”


Il suicidio, non solo tra le opprimenti mura del carcere, è oggi un fenomeno più frequente di quanto si possa sospettare…

Secondo
Paolo Crepet, noto psicologo contemporaneo, le ragioni più comuni che inducono al suicidio sono:

• Il bisogno di sollievo rispetto ad uno stato d’animo intollerabile
• Necessità di fuggire da una situazione che appare senza soluzione;
• L’esigenza di far comprendere a chi sta intorno la propria smisurata disperazione.

Allora il suicidio è un disperato tentativo di richiamare l’attenzione su di sé? Una fuga senza ritorno? Una soluzione estrema?
L’idea di una malcelata viltà sembra nascondersi dietro tutto questo…


Cicerone, nel De Senectute (20, 73), ricorda l’affermazione di Pitagora secondo cui gli uomini non sono autorizzati a lasciare il proprio “posto di guardia” assegnato loro dalla volontà divina, in linea con argomentazioni "sociali" già presenti in Aristotele: ogni individuo ricopre nella società un ruolo ben preciso, che concorre a mantenere un ordine universale delle cose.
Contrario alla suprema violenza contro se stessi si dichiara anche il filosofo neoplatonico Plotino, in virtù di ragioni religiose e sociali. Il Cristianesimo, si sa, condanna il suicidio come gesto di superbia dell’uomo che pretende di sostituirsi a Dio nella prerogativa esclusivamente divina di dare e togliere la vita.

Lo stoicismo, invece, riconosce la possibilità etica per il saggio di togliersi la vita, se gravi ragioni gli impedivano di vivere virtuosamente.

Seneca va oltre lo stoicismo, esaltando il suicidio come garanzia, o meglio, scelta di libertà:
“Vita trahitur?Adtendite modo et videbitis quam brevis ad
libertatem et quam expedita ducat via”(
De Providentia 6, 7)


E, a degno corollario, si affretta a rimarcare che si muore con un’agonia molto più veloce del lento e faticoso travaglio del parto…

Seneca stesso, forse, avrebbe potuto evitare la morte con un atto di servilismo nei confronti di quel Nerone che gli aveva ordinato di recidersi le vene; la stessa possibilità si era presentata al vinto Catone l’Uticense, di fronte ad un Cesare solitamente clemente con gli sconfitti: ma entrambi, Seneca e Catone, non esitarono a scegliere di seguire il loro alto credo filosofico.

In quel caso il suicidio si rivelò un gesto nobile, anzi il più nobile che un saggio potesse compiere…


Come si nota, le linee di pensiero sono varie e in contrapposizione.


Mi piacerebbe conoscere il parere dei giovani studenti, sensibili indagatori della nostra epoca, alla ricerca continua di risposte ai mille perché… Sarebbe interessante se questa discussione promuovesse la libera espressione di opinioni e punti di vista, per condividere idee e/o scambiare informazioni, nella costruzione collaborativa del sapere...
Provate a reperire altre documentazioni in merito, a rintracciare i giudizi di altri autori classici a queso proposito, attingete alle vostre conoscenze, alla vostra sensibilità e fate i vostri commenti…

Carmen Taurino



*Morte di Seneca di Peter Paul Rubens

3 commenti:

  1. Dal mio modestissimo parere ritengo il suicidio come l'estrema soluzione quando ormai la situazione è disperata o provoca eccessivo dolore e in ogni caso risulta priva di alcuna via di scampo o con soluzioni che comunque sarebbero inattuabili, e non necessariamente per difendere le proprie idee e opporsi a forze soverchianti, anche se probabilmente quelli sono i casi più alti in cui non si può proprio criticare il gesto compiuto.
    Come ad esempio avete fatto notare, Catone l’uticense si suicidò per rifiutare l’impero di Cesare che ormai si sarebbe affermato senza ombra di dubbio, in un gesto di estrema nobiltà visto che la situazione per lui era disperata, poiché sarebbe stato impossibile riportare Roma alla repubblica, il suicidio perciò sarebbe più che accettabile in certi frangenti, infatti lo stesso Dante pone Catone come guardiano nel Purgatorio, a differenza di altri suicidi come Pier delle Vigne che si trovano nell’inferno a subire la loro condanna.
    Sempre nel caso di Pier delle Vigne Dante scrisse “credendo con morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto.”, con Pier delle Vigne che passa dalla parte del torto con quel suo gesto, che viene visto da Dante come un gesto vile in quella situazione, ed effettivamente, se il tradimento perpetrato ai danni di Federico II non fosse stato opera sua non avrebbe avuto motivo di suicidarsi visto che era innocente, ed in questo caso non mi pare che il suicidio sia giustificabile visto che si fugge semplicemente dal disdegno altrui privo di fondamento (ammesso che le cose siano realmente andate così, visto che ci sono ipotesi di studiosi che affermano che Pier delle Vigne sia stato assassinato a colpi di pietre).
    Ma in ogni caso anche il filosofo Socrate si diede la morte bevendo la cicuta pur di non rinnegare i suoi insegnamenti, e chi potrebbe definire questo un atto di viltà o una fuga?
    Per me sarebbe anche accettabile, oltre al caso sopraccitato o quello di Catone l’uticense, dopo un avvenimento tale da sconvolgere fisicamente, emotivamente o entrambi un individuo, specie in persone che sono già fragili, o sottoposte a condizioni a dir poco degradanti, come ad esempio nel caso di diverse persone incarcerate (giustamente o meno non è dato saperlo) qui in Italia che si sono suicidate perché la situazione tra sovraffollamento, igiene pessima, pestaggi sia dagli altri detenuti che dalle stesse guardie carcerarie e quant’altro è insostenibile, e spesso si danno la morte in modi atroci come inghiottire una lametta, spinti semplicemente dalla forza della disperazione che fa compiere anche atti del genere che provocano sicuramente non poche sofferenze prima della morte.
    Altro caso importante nella società di oggi si riscontra sicuramente nella gente affetta da patologie limitanti e tuttora prive di cure efficaci come la sclerosi laterale amiotrofica o la distrofia muscolare, gente comune, che non è spinta da nobili ideali, ma che appunto chiede semplicemente di poter interrompere la cura staccando la moltitudine di macchinari che permettono di rimanere in vita e di morire tranquillamente, sebbene ci sia gente bigotta che insista a vederlo come un suicidio vero e proprio (anche se tecnicamente non è proprio un suicidio), come un fatto immorale e contro natura, anche se le macchine che mantengono i malati in vita sono tutto fuorché naturali, e perciò è costretta a morire in modi molto più lenti e dolorosi, e se qualcuno osa anche solo provare a staccare la presa dei macchinari rischia denunce su denunce.
    Eppure sono passati più di duemila anni dal giuramento di Ippocrate che ormai dovrebbe essere antiquato, stantio e abbandonato, eppure sembra che la gente ci tenga tanto a voler comunque seguire la parte in cui dice che il medico non deve mai somministrare medicine che provochino la morte o provocare la morte ad un paziente volontariamente.

    Il commento continua all'altro post, temo di aver scritto troppo

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  2. E sono passati più di duemila anni anche dall’Etica Nicomachea di Aristotele, in cui il filosofo affermava che il suicidio è atto di viltà e un’ingiustizia contro la propria città, e pone invece come esempio massimo chi nella malattia sopporta tutto anziché morire, eppure ormai una persona dovrebbe essere libera di fare come vuole finchè non lede la libertà e i diritti altrui, e si è sempre parlato di libero arbitrio, perciò perché impedire alla gente di morire? Per un puro bigottismo e per la minaccia medievale di un inferno a cui magari non si crede neppure?
    È anche vero che il giudizio in questi avvenimenti è difficile e dipende molto dalle vicissitudini specifiche e dalle condizioni del suicidio, visto che certamente in diversi casi si tratta di gesti affrettati, non ponderati e dettati da un momentaneo squilibrio mentale che, come nel caso della guardia carceraria Domenico Apicella, porta ad atti che vogliono distruggere la propria persona e chi gli sta intorno.
    Nel caso non fosse perfettamente chiaro il mio parere io non sono contrario al suicidio, specie in certe circostanze gravi ed opprimenti, ma sono contrario nel caso il suicidio avvenga senza alcuna cognizione di causa e soprattutto a giovane età, quando si ha ancora tutta la vita davanti e, a meno che non si abbiano malattie invalidanti o si venga coinvolti in incidenti di gravità tale da lasciare giusto le principali funzioni vitali o poco più o comunque eventi insopportabili ed ingestibili, ci sono ancora speranze di migliorare la propria situazione e continuare.
    Ogni essere umano è libero di fare come preferisce, perciò se un individuo ritiene che è meglio il suicidio allora è pure libero di morire, ma certamente suicidarsi quando ancora si ha tutta la vita davanti per me è pura idiozia, almeno dal mio punto di vista, o ancora peggio quando i problemi sono risolvibili.

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  3. Concordo con te...è inutile giudicare la gente per le sue azioni. La maggior parte delle persone critica il suicidio, ma nessuno si mette "nei panni" di chi prova dolore.(Non possiamo prendere una posizione e giudicare, giudicare e giudicare senza nemmeno avere il coraggio di Agire e di aiutare chi si trova in difficoltà!!!). Comunque è vero che un uomo maturo e non vile affronta qualsiasi problema , per esempio Catone avrebbe potuto continuare a lottare, ma ..mi domando davvero: per "CERTE" sofferenze, quelle vere e irrecuperabili quale altra soluzione può esserci se non il suicidio?

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